Faccio Formazione da molti anni e, molte, tante volte mi sono trovata difronte alla possibilità di scegliere delle risorse attraverso la primaria osservazione del curriculum.
Sarò impopolare, sarò “in comunitaria”, ma una delle cose che maggiormente mi hanno infastidito in questi anni è stata la lettura dei Curriculum in formato europeo e di tutte le sue varianti.

Già proprio così, ma il fastidio che mi nasce è così grande da spingere anche gli altri a non inviarlo mai di propria volontà, ma di ricorrerci solamente  laddove venga esplicitamente richiesto e si è nella spiacevole condizione di dover necessariamente trovare un lavoro, accettando anche la produzione di questo curriculum come onesto compromesso per ottenerlo.
Ma quali sono i motivi di questa mia mal predisposizione al cv europeo?

Beh diciamoci la verità, quando ho iniziato io a muovermi nel mondo del lavoro, un buon curriculum vitae aveva due fondamentali caratteristiche:

1. dava le informazioni fondamentali sul candidato (tipo: età, stato civile, figli? fatto il servizio militare? dove abita?);
2. doveva far capire quali fossero le competenze e le esperienze del candidato (ad esempio: ha titoli di studio superiori? Quale università ha frequentato? Con quale voto ha ottenuto la laurea? Cosa ha fatto dopo gli studi? Dove ha lavorato? Quando? Con quali mansioni e quali risultati?).

Oggi non è più così, quel mondo è finito per via della competizione.

Quel modo di fare un CV, infatti, aveva senso quando, per fare un esempio, per un posto di lavoro si ricevevano 100 candidature di cui solo 10 erano di persone con i requisiti realmente aderenti alla posizione offerta.

Lo scopo del selezionatore era dunque quello di individuare questi 10 candidati, chiamarli per un colloquio e poi effettuare la selezione.

Ma oggi?

Nel contesto come quello attuale sarebbe di capitale importanza la capacità di far capire, dal semplice CV, non solamente chi siamo e cosa sappiamo fare, ma anche che tipo di persona siamo: siamo attenti ai dettagli, o no? Quando suona la campanella, stacchiamo dal lavoro oppure non molliamo la presa sino a quando non lo abbiamo portato a termine? Abbiamo una mentalità imprenditoriale o permettiamo alla nostra job description di essere un ostacolo tra noi e ciò che andrebbe fatto? Sappiamo integrarci con i colleghi? Cosa ci aspettiamo dal lavoro per il quale stiamo candidandoci: ci interessa realmente, o è solo un mezzo onesto per pagare le spese?

Queste sono solo alcune delle domande a cui un curriculum scritto con chiarezza, formattato e strutturato con il nostro stile, riesce a rispondere agli occhi di chi lo sa leggere.

Ognuno di noi ha un suo stile di comunicazione e ognuno è libero di decidere cosa comunicare, come e quando: e allora come può un qualsiasi standard, uguale per tutti e deciso in qualche ufficio lontano, riesca a cogliere le infinite sfumature del nostro carattere, delle nostre ambizioni e speranze?

Quello che potrà cogliere sarà, nel migliore dei casi, solamente chi siamo e cosa sappiamo fare. E’ il formato perfetto per chi effettua selezioni del personale con criteri burocratici, criteri per i quali la selezione è effettuata dando dei pesi ad ogni voce del formato europeo (e questo spiega anche l’incredibile prolissità che viene indotta dal formato stesso), per poi selezionare il candidato che ha più punti, senza prendersi il rischio di scegliere e selezionare il candidato migliore per quel lavoro o per quella specifica necessità.

Assottigliamento sociale? immobilità burocratica?  Piò darsi ma in entrambi i casi si tratta di manovre che stanno uccidendo il nostro paese. 
Ma forse questo è un altro discorso.
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Federica Macrì
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